Chapter 14

Sono tranquillo, non sono qui, i caduti non possono vedermi, non possono conoscermi. Non sono un'ombra, ma mi muovo tra loro, in silenzio, prudente ma deciso, come quando entrai nel loro rifugio un mese prima. Sfruttavo la luce del giorno per coprire la mia, poiché la foresta qui è spoglia, come fosse un luogo morto, ovunque, con il rumore costante dei saccheggiatori intenti a privare questo mondo delle sue vecchie glorie. E io guardo, imparo, registro e conservo. Ogni loro movimento è la mia ossessione. Annoto tutto quello che dicono, anche se non sono così ferrato sulla loro lingua da incubo. A decifrarla ci penseranno gli altri. E troveranno dei segreti. I segreti sono come armi, e io sono lo strumento della loro disfatta. Sono nemici, sono crudeli, e io imparo e condivido. E loro crolleranno.

Cos'è quel vociare? Sono sceso in profondità, non so di quanto. Ho tracciato ogni metro. Mappato ogni percorso. Ma questo labirinto è tortuoso. Le loro grida esultanti riecheggiano di violenta gioia, mentre io indugio nel procedere poiché sto battendo corridoi ben protetti... Sì, questo è un luogo speciale, un luogo sacro, un luogo meccanizzato. E gli urli si mischiano alle grida e al rumore degli ingranaggi. E la gioia si unisce al dolore. C'è sofferenza, qui. Punizione. Un... rituale? Devo sapere affinché tutti sappiano, così mi muovo piano, con attenzione. Non devono vedermi. Non possono. Metro dopo metro, copertura dopo copertura. E se dovessero scoprirmi, sarò rapido e deciso. Vado avanti, lasciandomi dietro anfratti inesplorati. Devo capire perché esultano. Ma a un certo punto smettono. L'esultanza sostituita dell'indaffarata armonia dei pirati, giorno e notte, non si riposano mai. O meglio, quando riposano, altri portano avanti il lavoro, pianificano le incursioni, scremano il bottino, preparano la loro flotta, le loro armi, il loro credo. Se penso al mondo in cui adorano le macchine, qui dovrei sentirmi al sicuro. Dovrei essere una loro divinità. Sono una macchina? Non lo so. Non so niente. Il loro credo non è così semplice. Senza l'echeggiante cacofonia dell'entusiasmo, rallento ma rimango all'erta nello sforzo di individuare la sua origine.

Sono ormai trascorse settimane. Si è appena conclusa una cerimonia e sto inviando un sunto di tutto quello che ho visto, perché... mi hanno visto anche loro. Sono i miei ultimi momenti, ne sono certo. La cerimonia è lotta, rituale, furia. Un'arena dove gli inferiori e i meno degni devono dimostrare il proprio valore, oppure soffrire e morire. Combattono in modo spietato, scorretto. Combattono per sopravvivere. O per prosperare. In quest'arena, sotto lo sguardo di un Arconte, gli Eliksni umiliati devono redimersi, e i pirati minori possono ambire a un rango più elevato: da reietto a vandalo, da vandalo a capitano, da capitano a... Questa è la loro forgia, il loro tribunale, la prova da superare davanti a chi è migliore. Questi sono i nostri nemici. Uccidere o morire, prosperare o perire. Non hanno bisogno dei deboli. Esultano, gridano, acclamano mentre l'Arconte domina. Ma io ho agito con troppa disinvoltura. Il fervore è diventato una distrazione e gli occhi dell'Arconte mi hanno trovato. Sono troppo in profondità per scappare. Credo stia sorridendo...

— L'ultima disperata trasmissione di Wren, coraggioso Spettro della rete spettrale