La paura è l'unico ricordo vivo che mi è rimasto. Quando percepii la paura avvolgermi con le sue spire, rinunciai a respirare. Fingere di saper pensare non aveva più senso. Come rimasi in piedi resta un mistero, poiché il terrore mi stava opprimendo come una montagna in procinto di schiacciarmi l'anima.

Sembra doveroso chiedermi cosa mi stesse terrorizzando.

L'Oscurità dominava nei cieli, il mondo intorno a noi cadeva a pezzi, e sembrava assurdo solo pensare di poter sopravvivere a quell'inferno. Tuttavia la paura non proveniva da quel caos o da quella sconfinata disperazione, ma risiedeva sotto la mia pelle. La mia stessa natura era la causa di quel terrore viscerale.

Ma cosa della mia natura mi spaventava?

Dentro di me risiedeva un'essenza soprannaturale. Ero un'insonne anche prima di tutto ciò?

Lei era ancora dentro la mia testa, ne percepivo la canzone affievolirsi.

Scomparsa?

Non ancora.

Un nuovo paralizzante incubo stava prendendo il sopravvento.

Mi stavo concentrando solo sulla mia paura, e dovetti fare uno sforzo per reprimerla.

Capii che niente nell'universo era più pericoloso dell'arroganza umana.

Avevo ancora quella cosa dentro di me? La mia parte umana era quella che contava: debole e dissennata, sicura di fallire da un momento all'altro.

Ecco l'origine della mia paura.

Poi qualcuno parlò,

e forse quel qualcuno ero io. Non ricordo.

Stavo provando a concentrarmi quando, a un tratto, un nuovo pensiero prese vita in me: la mia anima giace tra due entità. È qui che risiede la mia risolutezza: la linea di confine, la giuntura.

L'attrito fra due realtà.

E da qui che la mia paura iniziò a sbiadire.